Intro

Questo è il mio diario ed è scritto sulla strada. Parla del tentativo di realizzare un sogno: fare il giro del mondo via terra, senza prendere aerei. Mollo tutto e parto, in solitaria. A contatto con la Natura, senza bucarla dall'alto. Pulito, lento e circolare. Un'avventura d'altri tempi per sentire la terra cambiare sotto i piedi giorno dopo giorno, per attraversare gli oceani a bordo di cargo mercantili, come fantasticavo da piccolo, con acqua e solo acqua ovunque intorno. Uscire, chiudere la porta ed unire il vialetto di casa mia con la via della seta, Karakorum e Himalaya, India, Cina, le risaie del Mekong, i templi buddhisti con le rovine Maya, Macchu Picchu e la Tierra del Fuego, la Panamericana...
Perchè si parte ? Forse per riempire una mappa vuota, o per perdersi o forse solo per giocare in un prato più grande. Non lo so. So solo che questa volta non mi voglio dare nessun limite.
Che bello dirlo, questa volta il limite è il mondo
Almeno ci provo


venerdì 20 novembre 2009

Tubabu (...)

La prima parola che ho imparato in bambara e' tubabu.
Significa bianco.
Perche' sono bianco.
Per la prima volta in vita prendo coscienza della mia mancanza di colore, del mio camminare pallido, dei miei peli visibili.
Sono i bambini che te lo gridano, ridono e puntano il dito verso la novita' che vedono passare in pantaloncini e con in testa una massa di capelli lunghi non nerocrespi.
Il diverso.
Quelli piu' temerari ti seguono e mettono la tua mano nella loro confrontandola increduli di fronte all'enorme mancanza di colore.
Altri rimangono a distanza e ti guardano col timore del questo qui non somiglia a mio papa'.
I piu' piccoli piangono.
Da noi, nelle storie del terrore e' l'uomo nero che viene di notte a prenderti per portarti via e mangiarti.
Qui e' l'uomo bianco.
Sono in Africa Nera, quella vera.
Sahara finito, ora e' Sahel, zona cuscinetto tra deserto a nord e savana e foresta tropicale a sud. La stagione delle piogge c'e' stata ed e' appena terminata, sembra addirittura con delle inondazioni. La siccita' e' scongiurata, per quest'anno. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta qui non piovve per anni e fu una catastrofe alimentare. Il deserto avanzo' per decine di chilometri erodendo zone coltivabili. Come tuttora continua a fare, con l'aiuto di una delle piaghe bibliche che ogni tanto si abbatte in questa regione martoriata.
Locuste.
Chi le ha viste, Mario, mi dice che oscurano il cielo come fosse un' eclisse mobile e rumoroso.
Divorano tutto il divorabile annichilendo l'uomo, teoricamente qualche gradino piu' in alto di loro nella scala evolutiva ma senza difese da millenni contro questi sciami affamati.
Questi ultimi anni sono stati benevoli, ci sono stati raccolti e anche se la puzza di carogna a volte invade l'automobilina ci sono poche carcasse di animali.
L'erba e' giallo fosforescente e ci sono i primi alberi dopo giorni di sabbia, alcune acacia e i primi esemplari della pianta al contrario, quella che sembra sia rimasta incastrata dentro il terreno a testa in giu' nel tentativo di recuperare le cento lire cadute nel profondo, con i rami che sembrano radici esposte all'aria come se il vestito fosse scivolato in basso a scoprire le intimita', il re degli alberi africani, monsieur Le Baobab.
A volte in direzione opposta alla Peugeot 205, in velocita' sfrecciano correndo campi coltivati e gia' mietuti con avanzi, pochi molto pochi, di pannocchie di miglio, l'apporto di energia carboidrata piu' diffuso in questa parte del mondo.
I contadini vestono un cappello ad ombrello di paglia, come in Laos e Thailandia, alcuni con carretto e buoi, altri portando a spasso capre oppure dromedari e ormai tutti hanno la pelle nera.
Siamo entrati in Mali.
Nel villaggio di Nioro du Sahel il parrucchiere ci invita a mangiare e dormire a casa sua.
Una corte di capanne circolari.
Quelle classiche, da National Geographic, col tetto conico di paglia, costruite usando fango.
Noi uomini, solo noi uomini, ci sediamo per terra, da un vaso pieno d'acqua ci laviamo le mani e cominciamo a mangiare tutti insieme da un piatto comune, usando categoricamente la mano destra. Piatto del giorno, piatto di ieri, piatto di domani, cous cous di miglio con una salsa densa di verdura. Poi arriva il dolce, cous cous di miglio mischiato con una specie di yogurt dolce e leggero. Mahmoud ha una moglie e cinque figli, dice che puo' bastare, uno in piu' sarebbe troppo difficile da mantenere e vuole che tutti studino, che almeno sappiano leggere e scrivere in francese.
In Mali ci sono decine di dialetti ma le lingue utilizzate per comunicare universalmente sono due, il bambara per parlarsi e il francese per i documenti ufficiali, per giornali e telegiornali, per le lezioni scolastiche e per le pubblicita' dei telefonini che come al solito nei paesi sottosviluppati e' l'unico prodotto commercializzato sui cartelloni.

...continua

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