Intro

Questo è il mio diario ed è scritto sulla strada. Parla del tentativo di realizzare un sogno: fare il giro del mondo via terra, senza prendere aerei. Mollo tutto e parto, in solitaria. A contatto con la Natura, senza bucarla dall'alto. Pulito, lento e circolare. Un'avventura d'altri tempi per sentire la terra cambiare sotto i piedi giorno dopo giorno, per attraversare gli oceani a bordo di cargo mercantili, come fantasticavo da piccolo, con acqua e solo acqua ovunque intorno. Uscire, chiudere la porta ed unire il vialetto di casa mia con la via della seta, Karakorum e Himalaya, India, Cina, le risaie del Mekong, i templi buddhisti con le rovine Maya, Macchu Picchu e la Tierra del Fuego, la Panamericana...
Perchè si parte ? Forse per riempire una mappa vuota, o per perdersi o forse solo per giocare in un prato più grande. Non lo so. So solo che questa volta non mi voglio dare nessun limite.
Che bello dirlo, questa volta il limite è il mondo
Almeno ci provo


giovedì 24 dicembre 2009

La Casa del mulino (...)

Le insegne dei negozi.
Mi sveglio e tutte le insegne dei negozi hanno qualcosa di strano, disorientante.
Sono in italiano.
Tutte.
Bar degli Amici.
Carmelo Parrucchiere delle Stelle.
Cioccolateria Peyrano.
Il cielo fa davvero schifo, uno strato di grigio pantegana coprente che avvolge in un abbraccio di pulviscolo oleoso tutte le ossa dal cranio fino all'alluce rendendole fredde, di quel gelo interno che vorresti strappare via ma rimane attaccato e piu' ti scuoti e piu' lui penetra e i colori si arrendono, il bambu' non organizza seminari in citta' cosi' loro non si piegano ma si spezzano frantumandosi, nebulizzandosi in sfumature cromatiche metallizzate razionali e tristi come le mamme automobili che hanno partorito lo strato grigio pantegana coprente.
Torino.
Bentornato.
Che io capisco le nuvole nere, la drammaticita' del nubifragio prossimo venturo, l'orizzonte cupo e la pioggia di giorni e giorni ma non questa perenne cataratta atmosferica che occlude la vista e la voglia di respirare.
Sono entrato in Val Padana, nella bottiglia d'orzata.
Le mie origini.
Quasi quasi torno indietro e mi reincarno noce di cocco a Salvador do Bahia.

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martedì 22 dicembre 2009

Un Volkswagen da deserto (...)

Fumetti.
Coperte di lana, tisana e fumetti che escono dalla bocca ad ogni espiro che facciamo.
Nella gamba sinistra un paio di piccoli muscoli che non sapevo di avere si irrigidiscono e si staccano come iceberg galleggiando sottocutanei, mentre scrivo seduto sul divano.
Foche ed elefanti marini si chiudono al calduccio in frigo.
Sono a casa di Eva.
Albinyana, colline dietro Tarragona, Catalunya, Spagna.
Europa.
Neve.
Ma quanta neve e' scesa.
Lo shock termico dal Sahara mi distrugge un po' e non so che cosa fare quando finira'.
Quando finira'.
La malasuerte termino'.
Dalla Mauritania al Marocco non esistono mezzi pubblici.
Per attaversare la frontiera ed i dieci chilometri di terra di nessuno devi vagare per Nouakchott aspettando che si riempia qualche jeep e pagare il prezzo bianco oppure trovare qualcuno che stia risalendo verso il Vecchio Continente e fare appostamenti ai papabili, cecchino dello scrocco quattroruote.
Il mio bersaglio e' proprietario di un furgoncino Volkswagen ed alloggia nel mio stesso ostello. Una gola profonda mi spiffera che dovrebbe partire domani mattina alle sei.
Indovina un po' la prima faccia che ha visto appena finito di stropicciare gli occhi.
L'italiano con la faccia da pazzo e gli occhi spiritati dalla febbre chiede un passaggio fino a Dakhla nel Saharawi marocchino e lui senza batter ciglio accetta.
Non ci credo, la fortuna ricomincia a fluire.
Immediatamente prima che cambi idea lancio il mio zaino dentro il van e mi lego.
Partiamo.
Lui si chiama Fred, sta tornando da due mesi passati in Senegal ad imparare con un feticheur l'arte del gri-gri, l'amuleto scacciamale, che poi rivendera' a Marsiglia. Il furgoncino e' super accessoriato con frigo, fornello, mensole ed un super letto a due piazze.
Statuine ed ossa sparse ovunque.
Sul sedile del passeggero un pianta dai fiori fucsia stroboscopici ed un baobab.
Un baobab.


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lunedì 14 dicembre 2009

Guarda che qualcuno ti sta avvertendo con evidenti segnali che la strada intrapresa non piace al dio dei pellegrini (...)

Quanti evidenti segnali bisogna ricevere prima di capire che la strada intrapresa non piace al dio dei pellegrini ?
Forse non dovrei tornare.
Pensavo che dopo lo scampato pericolo dell'incidente, costato la vita a nove mucche innocenti, tutta la potenziale sfiga che ogni cammino possiede fosse stata dilapidata in un colpo solo.
Invece no.
Invece no.
Mi sveglio e sono sdraiato per terra, zuppo di benzina, al buio, nel mezzo del Sahel, freddo deserto e con davanti una corriera che mostra le sue parti intime, ruote all'aria.
Sta arrivando il bus di riserva, il muletto che ci portera' a Bamako.
Rimontare in sella dopo che si e' caduti da cavallo.
Subito.
Mi rimetto nello stesso identico posto, sempre incuneato in fondo nell'angolo del finestrino destro, sempre con l'anca tra la decima e l'undicesima costola del vicino, la rotula che ricomincia a scavare un incavo dentro lo schienale legnoso del sedile di fronte.
Tutti muti ed infreddoliti, neri di paura.
Dormo.
La mattina mi ridesto ed e' subito fumo.
Una nebbia acre, diversa dalla polvere che abitualmente mangio.
E' un attimo e tutti tossiamo e respiriamo con molta fatica, l'autista cieco dall'interno inchioda e correndo verso la portiera scende, scendiamo in furia per non soffocare.
Uno dei tre aiutanti sale a controllare la sorgente di questa malanebbia, stacca tutti i sedili posteriori fino ad arrivare al motore e scopre un cavo di acciaio arroventato che lavorando da sotto sta bruciando il fondo del bus.
La furbizia avanza galoppando verso di lui mentre per strappare la causa del danno stringe tra le mani qualche centinaio di gradi.
Ma arriva tardi.
Non lo sapevo, sulla pelle nera le scottature lasciano ustioni bianche.
Un tatuaggio involontario, una bella riga candida e dritta che prosegue attraversando da un palmo all'altro.
Risaliamo.
La mia borsa blu e' scomparsa.
Agenda, diario, il completo in stile africano, dentifricio, spazzolino.
Il pulman riparte.
Chiedo all'autista di fermarsi, ripeto all'autista di fermarsi, poi urlo.
Tutti si voltano verso di me.
Settanta persone che mi guardano incredule.
Il tubabu e' impazzito.
Il bus si ferma un'altra volta, spiego quello che mi manca, che probabilmente e' finito sotto quando sono stati tolti i sedili.
Un quarto d'ora di discussione.
Il mugugno dei passeggeri.
Alla fine si convincono a staccare di nuovo i sedili, la botola si riapre, la borsa ed il suo contenuto sparso sporcano di carta e cotone tutto l'olio che ricopre il motore.
Ma manca la camicia del completo africano.
Cerco la camicia, sparita, volatilizzata, teletrasportata su Klingon, passano altri minuti, alcuni mi toccano, altri mi spingono, un tono stufo pienelepalle mi dice lasciala come regalo, e' Allah che lo vuole.
Un nigeriano brutto pelato e soprattutto grosso proprio grosso alza moltissimo la voce e urlando sputacchi minaccia in inglese l'autista di muovere this fucking bus perche' lui non puo' perder tempo, che ha del businness da fare e move, fucking shit, move.
Cioe', abbiamo tipo dodici ore di ritardo e ti arrabbi se perdiamo un quarto d'ora a cercare la mia camicia, che tra l'altro e' proprio bellina nuova mai usata.
Vabbe', visto che me lo chiedi gentilmente, andiamo.
Sedili rimontati, si riparte.
Dieci minuti e buchiamo.

venerdì 11 dicembre 2009

Pioggia di mucche (...)

Quasi muoio.
Decido di tornare a casa e cominciano a piovere mucche.
Il piano prevede una serie di linee rette che da Timbuktu portino fino a Recco, passando da Ciserano.
Timbuktu-Bamako. Bamako-Nouakchott. Nouakchott-Dakhla. Dakhla-Tangeri.
Dopo c'e solo lo stretto di Gibilterra da attraversare per riapprodare in Europa.
Spagna, Francia, Italia.
Le rotte nella mente sono facili da disegnare, prendi una matita e tracci, l'unico rischio e' distrarsi al passaggio di una regina del decollete' e finire in universi paralleli per qualche istante, ma poi con una gomma cancelli e ripensi.
Quando pero' si materializzano diventano dei bus che viaggiano di notte senza illuminazione, a velocita' folli in mezzo a campi coltivati a capre, dromedari e pastori in bicicletta.
Piazzaci me in uno di questi bus, nel sedile in fondo, quello coi posti tutti attaccati che nelle gite e' occupato dai casinari, ideale per stonare le bionde trecce o mostare i poster con le tette nude agli automobilisti. Incuneato a destra, attaccato al finestrino, con la rotula compressa nel comodocomodissimo legno compensato dello schienale davanti e l'anca infilata in un angolino dentro al costato del mio vicino sinistro.
In questa ultima fila dovremmo essere in otto, otto !, ma siamo in undici, undici !, perche' una maman bella ciccia ha comprato un solo posto, d'angolo a sinistra, per se' e per i suoi tre figli.
Fuori e' buio pesto, non avendo bionde trecce, occhi azzurri, arance rosse e davvero nessun fiore da mettersi in in bocca nessuno canta, scorriamo in velocita' saltellando sull'asfalto medio cotto dal sole ogni giorno tutti i giorni.
Avendo dimenticato a casa tutti i poster di Cicciolina e Vampirella non rimane altro da fare che scrivere col portatilino una mail per Luce da spedire appena la rete di mamma Africa lo permettera'.
Alla parola Aaaaaaammm, sull'ultima emme, un colpo sordo.
Pum !!!
Belin che e' ?
Pum !!! di nuovo e un'altra volta ancora.
L'autobus comincia a sbandare, si inclina dalla mia parte, deraglia a sinistra, schiacciamo acciacchiamo qualcosa.
O qualcuno.
Pum !!!
Siamo una palla da bowling e perdo il conto dei birilli che abbattiamo.
Lisergici Lebowski.
Pum !!!
Continuiamo a svirgolare, una gimkana fast and furious ma l'autista non e' bello come gli attori belli, non conosce il copione e perde definitivamente il controllo.
Voliamo.

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giovedì 10 dicembre 2009

Timbuktu (...)

Amo questa vita.
Viaggiare.
Mangiare la strada, morderla.
Respirare ogni giorno aria divesa, come se il cielo fosse una piscina che la notte viene svuotata per essere riempita di nuovo la mattina.
Collezionare attimi di bellezza per un mosaico che lentamente vada a coprirmi gli occhi, che serva a riscaldarmi i motivi per cui valelapena, come fosse una coperta oculare da stendere quando sembra che intorno tutto ti venga addosso.
Cinque di mattina.
La grande moschea di fango Dyingerey Ber e' illuminata di giallo ed un muezzin tuona dal Medioevo il nome di Allah. Fedeli con tunica e turbante bianco si tolgono le scarpe e si inchinano dalla bassa porta per entrare a pregare.
Intorno e' solo deserto e le prime dune di sabbia.
Non si vedono da qui ma l'importante e' saperle vicine.
Timbuktu.
La bellezza di essere arrivato fino qui.
Via terra.
Il cammino prima della meta.
Respirare Timbuktu e' un piccolo sogno di bambino che si realizza.
Pochi luoghi come questo hanno eccitato la fantasia di viaggiatori, forse Samarcanda ed il Cipango, che pero' ora si chiama Giappone.
Per l'aura di mistero, per i racconti di leggendarie ricchezze, per la vaghezza della posizione, per il crogiuolo (il crogiuolo !) di razze a scambiare merci da tutto il mondo, per l'esotismo del nome.
Timbuktu.
Per secoli fu il piu' importante centro spirituale dell'Impero del Mali e del Songhai, che detennero il potere per lungo tempo grazie al controllo di due fondamentali risorse naturali, il fiume Niger, principale via di trasporto commerciale e una delle piu' fruttifere zone di miniere d'oro mai scoperte.

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lunedì 7 dicembre 2009

Sacchi di sale lungo il fiume Niger (...)

C'e' chi ha messo dei sacchi di sale sotto il mio culo.
Sto navigando lungo le acque placide del fiume Niger su una di quelle bagnarole di legno. Quelle che naufragano nei documentari.
Quei documentari che partono con un piano lungo, le ninfee riflesse, i campi di riso, i contadini con il cappello a punta per poi zoomare all'interno della grande piroga coperta, persone stipate, sardine sdraiate in fila senza spazio nemmeno per succhiare un filo d'olio d'oliva.
Sardine nere pressate a panino.
Pero' se stavolta guardi bene ti accorgerai di un nuovo pesciolino, che sono io, l'ingrediente bianco infilato dentro al sandwich.
Non siamo a norma di sicurezza ISO 9001, almeno per quest'anno.
Il fondo della pinasse e' riempito con comode tonnellate di sale sulle quali noi siamo stesi da un paio di giorni. Non e' come la sabbia, non riesci a dargli la tua forma.
Il tetto e' a forma semicilindrica, con le assi curve che sembrano delle costole di un animale preistorico viste dall'interno. Come essere nello stomaco della balena di Pinocchio con otto grilli parlanti africani.
I miei vicini di sacco di sale sono maestri di scuola primaria, novizi diretti verso la prima esperienza nel villaggio fluviale di Dire'.
Sfoggiano tutti dei buchi su camicie, pantaloni, giacche a vento.
L'educazione povera.
Mi sono imbarcato a Mopti, grande porto sul Niger.
Dove il fiume e' il centro nevralgico della citta', col gran marche' sulle sponde, le pinasse che partono ed arrivano sempre stracolme, pescatori su piroghe, file interminabili di anfore d'argilla, donne che lavano i panni e ragazze che si fanno la doccia.
Tranquillamente a seno nudo.
La parte piu' erotica, quella da coprire e velare con un vedononvedo sembra siano le anche ed il bacino.
Purtroppo rimango poco, vado verso una di quelle localita' dal nome magico, da mille ed una notte, una di quelle destinazioni da sogno avventuroso.
Seguo la corrente verso nord che mi portera' a toccare la capitale religiosa dell'antico Impero del Mali, proibita per secoli ai non mussulmani.
Timbuktu.
Dove il Niger fa un'ampia curva a gomito per poi scendere a sboccare dopo 4100 km, terzo fiume piu' lungo d'Africa, dopo il re Nilo e la regina Congo.
Una enorme U rovesciata di blu.

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giovedì 3 dicembre 2009

Nel paese dei Dogon(...)

Ho attraversato la frontiera col Mali dalla strada meno battuta della perniente battuta rete viaria del Burkina.
Scordati l'asfalto.
Da Ougu ore dentro scassatissimi furgoncini tipo Volkswagen anni settanta, col finestrino aperto soffochi per la polvere, col finestrino chiuso soffochi dal caldo e dal fumo di scappamento.
Domanda: quante persone possono stare dentro un furgoncino tipo Volkswagen anni settanta ?
Risposta: 31, 27 dietro e 4 davanti.
Giuro, wallahi.
Sette capre vive sul tetto chiuse nella loro comoda confezione di tela bianca grezza.
Mi fermo qualche giorno nel Paese dei Dogon.
I Dogon sono una tribu' che vive nel Mali centrale sopra e sotto la falesia di Bandiagara, un lungo altipiano a strapiombo.
A causa della conformazione geologica per secoli sono rimasti isolati e solo in tempi recenti sono balzati all'attenzione degli antropologi grazi al lavoro di un francese, Griaule, menzionato ovunque.
La religione dei Dogon e' animista e si basa sul pilastro che la terra, il sole e la luna furono creati da un essere divino maschile chiamato Amma, la parola che in parecchie religioni, in India per esempio, e' associata alla mamma'.
Amma creo' anche i primi due esseri umani che generarono otto figli, gli antenati dei Dogon.
Come per gli egizi, la stella Sirio ha un'importanza fondamentale nella loro cosmologia, la conoscenza e' a tal punto precisa che la tradizione orale da sempre dice che sia formata da tre stelle unite.
E' solo grazie a nuovi potenti telescopi che negli ultimi anni gli astrologi hanno scoperto che le stelle che compongono Sirio non sono due ma tre.
Le cerimonie Dogon sono quelle vere.
Per il raccolto, per la pioggia ma soprattutto per i funerali vengono indossate le antiche maschere tribali, piume, pelle dipinta e tamburi proprio come nelle pubblicita' Africa un mondo antico.
Purtroppo durante il mio soggiorno non muore nessuno.
Cinico.
Il miglior modo per visitare la zona e' camminando.

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