Intro

Questo è il mio diario ed è scritto sulla strada. Parla del tentativo di realizzare un sogno: fare il giro del mondo via terra, senza prendere aerei. Mollo tutto e parto, in solitaria. A contatto con la Natura, senza bucarla dall'alto. Pulito, lento e circolare. Un'avventura d'altri tempi per sentire la terra cambiare sotto i piedi giorno dopo giorno, per attraversare gli oceani a bordo di cargo mercantili, come fantasticavo da piccolo, con acqua e solo acqua ovunque intorno. Uscire, chiudere la porta ed unire il vialetto di casa mia con la via della seta, Karakorum e Himalaya, India, Cina, le risaie del Mekong, i templi buddhisti con le rovine Maya, Macchu Picchu e la Tierra del Fuego, la Panamericana...
Perchè si parte ? Forse per riempire una mappa vuota, o per perdersi o forse solo per giocare in un prato più grande. Non lo so. So solo che questa volta non mi voglio dare nessun limite.
Che bello dirlo, questa volta il limite è il mondo
Almeno ci provo


lunedì 14 dicembre 2009

Guarda che qualcuno ti sta avvertendo con evidenti segnali che la strada intrapresa non piace al dio dei pellegrini (...)

Quanti evidenti segnali bisogna ricevere prima di capire che la strada intrapresa non piace al dio dei pellegrini ?
Forse non dovrei tornare.
Pensavo che dopo lo scampato pericolo dell'incidente, costato la vita a nove mucche innocenti, tutta la potenziale sfiga che ogni cammino possiede fosse stata dilapidata in un colpo solo.
Invece no.
Invece no.
Mi sveglio e sono sdraiato per terra, zuppo di benzina, al buio, nel mezzo del Sahel, freddo deserto e con davanti una corriera che mostra le sue parti intime, ruote all'aria.
Sta arrivando il bus di riserva, il muletto che ci portera' a Bamako.
Rimontare in sella dopo che si e' caduti da cavallo.
Subito.
Mi rimetto nello stesso identico posto, sempre incuneato in fondo nell'angolo del finestrino destro, sempre con l'anca tra la decima e l'undicesima costola del vicino, la rotula che ricomincia a scavare un incavo dentro lo schienale legnoso del sedile di fronte.
Tutti muti ed infreddoliti, neri di paura.
Dormo.
La mattina mi ridesto ed e' subito fumo.
Una nebbia acre, diversa dalla polvere che abitualmente mangio.
E' un attimo e tutti tossiamo e respiriamo con molta fatica, l'autista cieco dall'interno inchioda e correndo verso la portiera scende, scendiamo in furia per non soffocare.
Uno dei tre aiutanti sale a controllare la sorgente di questa malanebbia, stacca tutti i sedili posteriori fino ad arrivare al motore e scopre un cavo di acciaio arroventato che lavorando da sotto sta bruciando il fondo del bus.
La furbizia avanza galoppando verso di lui mentre per strappare la causa del danno stringe tra le mani qualche centinaio di gradi.
Ma arriva tardi.
Non lo sapevo, sulla pelle nera le scottature lasciano ustioni bianche.
Un tatuaggio involontario, una bella riga candida e dritta che prosegue attraversando da un palmo all'altro.
Risaliamo.
La mia borsa blu e' scomparsa.
Agenda, diario, il completo in stile africano, dentifricio, spazzolino.
Il pulman riparte.
Chiedo all'autista di fermarsi, ripeto all'autista di fermarsi, poi urlo.
Tutti si voltano verso di me.
Settanta persone che mi guardano incredule.
Il tubabu e' impazzito.
Il bus si ferma un'altra volta, spiego quello che mi manca, che probabilmente e' finito sotto quando sono stati tolti i sedili.
Un quarto d'ora di discussione.
Il mugugno dei passeggeri.
Alla fine si convincono a staccare di nuovo i sedili, la botola si riapre, la borsa ed il suo contenuto sparso sporcano di carta e cotone tutto l'olio che ricopre il motore.
Ma manca la camicia del completo africano.
Cerco la camicia, sparita, volatilizzata, teletrasportata su Klingon, passano altri minuti, alcuni mi toccano, altri mi spingono, un tono stufo pienelepalle mi dice lasciala come regalo, e' Allah che lo vuole.
Un nigeriano brutto pelato e soprattutto grosso proprio grosso alza moltissimo la voce e urlando sputacchi minaccia in inglese l'autista di muovere this fucking bus perche' lui non puo' perder tempo, che ha del businness da fare e move, fucking shit, move.
Cioe', abbiamo tipo dodici ore di ritardo e ti arrabbi se perdiamo un quarto d'ora a cercare la mia camicia, che tra l'altro e' proprio bellina nuova mai usata.
Vabbe', visto che me lo chiedi gentilmente, andiamo.
Sedili rimontati, si riparte.
Dieci minuti e buchiamo.

2 commenti:

lamartinz ha detto...

ma no che non devi tornare... bastava un segnale... no????

eddy....

Patrizia ha detto...

fantastico! anche se lo"sapevo" già, ho letto tutto d'un fiato...bravo cattanz!
lapatty